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Lettera a Denise, l’eroina francese d’altri tempi

lettera a denise

Cher madame Denise…inizia così la lettera a Denise, l’eroina francese che alcuni medici hanno voluto celebrare con un manoscritto.

Lo scorso marzo una paziente di 90 anni si è presentata all’ospedale di Parigi con tutti i sintomi del covid ma ha rifiutato l’ultimo posto disponibile in terapia intensiva per far sì che si potesse curare qualcuno che ne avesse più bisogno di lei.

Un tumore in corso quasi guarito, ed un cuore che a quell’età fatica a pompare, Denise ha preso la sua umanità e l’ha messa davanti a tutto e tutti, senza ricevere l’opposizione, di fronte a queste richiesta, né di medici né dei figli.

Un malato colpito da meningite ha preso il suo posto e si è salvato, lei ha abbassato le palpebre dei suoi grandi occhi neri ed intrapreso un nuovo viaggio, lasciando le sue impronte con una lezione di vita grande quanto la Tour Eiffel.

Oggi il quotidiano “Le Monde” celebra la donna e la ringrazia, tanto per aver salvato una vita, quanto per essere stata capace di un gesto che nessuna parola loderà mai abbastanza, ma che certamente donerà a quei dottori il privilegio di aver conosciuto una persona speciale, unica, un’eroina…d’altri tempi.

Lettera a Denise, alcuni passaggi

Cara Madame Denise. Non leggerai questa lettera. Questa scrittura è per renderti omaggio, perché incontrarti è stato fondamentale nel nostro modo di essere medici. Ti abbiamo pensato spesso da quella sera di marzo quando sei arrivata al pronto soccorso senza fiato, con tutti gli altri segni di infezione da SARS-CoV-2.

Né il tuo vecchio cancro quasi guarito, né l’insufficienza cardiaca, né la tua età avanzata hanno impedito il tuo ricovero in terapia intensiva. Sei stata tu a prendere questa decisione, a esprimere le tue preferenze. Non volevi prendere l’ultimo posto nel servizio, volevi lasciarlo ai tuoi figli e nipoti. Avevi bisogno di così tanto ossigeno che volevi assicurarti che rimanesse per tutti.

…quando l’ossigeno non è sufficiente, le macchine per la rianimazione sono lì solo per dare tempo ai polmoni infetti di guarire, quando guariscono.

Nel migliore dei casi, questo ambiente tecnico, sano e talvolta aggressivo lascia conseguenze fisiche e psicologiche prolungate nei pazienti che riescono a riprendersi da malattie respiratorie, ma anche nelle loro famiglie e persone care.

Spesso, purtroppo, i pazienti non sopravvivono a questo viaggio e le famiglie in lutto ne rimangono a lungo colpite, a loro volta ammaccate.

Ricordo il nostro incontro, il tuo sguardo, la tua modestia e la tua dignità quando ti ho esaminato sotto l’occhio ansioso del medico del pronto soccorso fissando la tua saturazione di ossigeno. Non ti lamentavi, la tua sofferenza era silenziosa. Abbiamo cercato di capire come migliorare la tua situazione. Con il mio collega al pronto soccorso, l’infermiera e l’inserviente che si è presa cura di te quella sera, siamo rimasti lì per un po’…

Parlare con suo figlio è stato prezioso. Abbiamo cercato di lasciarla andare accompagnata dai suoi cari. Non dimenticheremo mai la serenità e la dolcezza dei suoi grandi occhi neri. Non dimenticheremo mai che ci ha chiesto di andare a occuparci del pazienti che avevano qualche possibilità di farcela. Le restavano pochi giorni, ma il sorriso era quello di sempre…Grazie ancora per questo incontro così ricco di insegnamenti“.

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