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Megan Rapinoe, the last dance is…ingiusto

megan rapinoe

I capelli color rosa, olilla, o azzurri, hanno solo dato colore ad un talento che di per sé le sfumature le conosceva già tutte, perché quel talento cucito addosso a Megan Rapinoe ha immerso il volto in un arcobaleno.

Il giallo delle giornate migliori, il rosso delle sfide trionfanti, il blu scuro quando sarebbe bastato tanto così per acciuffare quello che mancava all’appello, il nero per un tendine che ha fatto male troppo presto, in quell’ultima danza che sarebbe dovuta essere un lento così simile al ballo della 5ª liceo piuttosto che al suono di un pianoforte scordato.

Ma sfogliare lo spartito dall’inizio significa ripercorrere una carriera senza eguali che fa di Megan Rapinoe la direttrice d’orchestra perfetta ma anche una delle più grandi calciatrici di tutti i tempi. La bacheca brilla di un oro olimpico conquistato l’11 agosto 2012, a Londra, con il Giappone, rivale di sempre, e di due Mondiali vinti da protagonista assoluta, nel 2015 in Canada quando divise la scena con Carli Lloyd e Alex Morgan, battendo in finale, guarda un po’, il Giappone per 5-2, e nel 2019 in Francia, quando i gol furono tanti di cui uno, decisivo, nell’ultimo atto, dove con la sua nazionale a stelle e strisce ebbe la meglio sui Paesi Bassi per 2-0.

Ma sfogliando ancora, i colori balzano agli occhi e la musica si fa più forte: è il 2 dicembre 2019, per la seconda volta nella sua storia il Pallone d’Oro finisce anche nelle mani di una calciatrice, e quella calciatrice è proprio lei, Megan Rapinoe. A 34 anni è la più forte di tutte.

Le note stonate di una melodia dolcissima sono il non essere mai riuscita a vincere una finale di National Women’s Soccer League, stregata fino all’ultimo visto che anche lo scorso sabato, in quello che è stato l’ultimo atto dell’atleta 38enne, a vincere è stato il NY Gotham FC di New York per 2-1 proprio a scapito dell’OL Reign di Seattle. Ma l’ingiustizia totalizzante l’ha consumata il terzo minuto quando quel tendine d’achille faceva troppo male e l’unica via di fuga dal dolore era la strada che conduceva alla panchina, troppo breve per rivivere tutto quello che è stato ma lunga abbastanza per godersi il tributo di una standing ovation da pelle d’oca, condita dall’abbraccio dell’altra capitana, sua compagna di nazionale, Ali Krieger.

E così, mentre una mano asciugava le lacrime e l’altra ringraziava un pubblico che è sempre stato dalla sua parte, negli occhi di chi si è goduto ogni scena di una mirabolante carriera fatta anche di giocate di gran classe al di fuori del terreno di gioco, come la campagna di sensibilizzazione per una parità salariale tra uomini e donne, nei pugni stretti perchè “non doveva finire così”, c’è ancora spazio per i ricordi, per quell’esultanza a braccia aperte dopo ogni gol che forse, fino ad oggi, ha sempre significato “Eccomi qua, ci sono anche io“, ma che da domani andrà verso un messaggio più profondo, come a dire Lo spettacolo è finito, grazie di tutto mio caro football” nell’eco di un’unica risposta “Grazie a te, Megan Rapinoe, campionessa senza tempo di un calcio travolgente come il più grande degli amori corrisposti”.

foto Megan Rapinoe Getty Images 

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