Rama di Pomm 2023, le tradizioni che fanno bene al cuore

Rama di Pomm

Tanti di voi non capiranno e forse è anche giusto così, ma a me basta sentire Rama di Pomm o Palio, in gerco comune, per ricoprire le mie pupille di un luccichio poco comune, o vedere le mie gote salire verso l’alto assecondando un sorriso.

La storia della Rama di Pomm potete leggerla QUI, io voglio parlarvi della mia Rama di Pomm.
Era il 1976, mamma e papà si erano sposati da poco e stavano finendo il trasloco, suonano alla porta, un signore, il buon Mario, dice: “Tra qualche settimana qui si farà il palio, ti va di partecipare?”. Ecco, è nato tutto da lì e papy me l’ha sempre raccontata in questo modo. Lui che è nato per tuffarsi di testa in qualsiasi cosa, lui che aveva sempre l’entusiasmo contagioso, la voglia di fare, un’energia per mille, lui che da quel giorno ha deciso di cucirsi addosso il blu del suo rione e farne una questione che andava forse oltre la logica, ma che sapeva emozionare all’inverosimile.

Per me novembre è sempre stato il mese del Palio, ma in realtà tutto l’anno gli ruotava intorno. Il conto alla rovescia partiva da lontanissimo. Magari a marzo incontravi qualcuno per il quartiere che potesse essere utile per un gioco, gli chiedevi in che via abitasse, e poi gli lanciavi un appuntamento “Tieniti pronto che ti chiamo”, e lo chiamavi per davvero ed ogni sì era quasi un sì per la vita perché, una volta entrato, non ne uscivi più.

La Rama di Pomm esiste da 75 lunghissimi anni, ha vacillato in più di un’occasione, ha vissuto le epoche degli inverni rigidi, delle contrade che si scontravano aspramente, l’epoca d un quartiere che si è rivoluzionato, di generazioni che sono cambiate e non hanno capito, non l’hanno amata come meritava, ha vissuto le epoche del covid, rimanendo ferma a guardare il tempo che passava e le soluzioni che sembravano scivolare via in lontananza, sbiadite fra un dubbio ed una legge che metteva solo i bastoni fra le ruote. Ed invece…75 anni dopo, è ancora qui. Siamo ancora qui. Con qualche modifica al regolamento che dà chance agli ex residenti di poterne fare parte, o che permette, per dirla tutta, a questa festa di essere coccolata ancora un po’ da chi l’ha amata veramente e non riuscirà mai a farne a meno.

E siamo ancora qui con orgoglio, dedizione, passione, con il tempo che manca ed un puzzle di infiniti pezzi sempre più piccoli e sempre più difficili da incastrare. La terza domenica di novembre, dopo una settimana di battaglia, dopo il calcio andato in scena a settembre, si spalanca persino il cielo, c’è un sole che fa invidia a quello del mese di giugno, c’è un quartiere che si anima, ci sono il blu, il giallo, il rosso ed il verde che predominano su quella strada che anche quest’anno non ne ha voluto sapere di contare quattro abitanti appena, ha preferito accerchiarsi di migliaia di persone, di bambini sognanti, e di 4 asinelli così buffi che sembra quasi impossibile diano un senso a tutto…ed invece.

E poi fra le tante gare c’è il tiro alla fune, specialità della casa. Papy ne ha vinti tanti, tantissimi, la maggior parte per dirla tutta, si appendeva a quella corta, la stringeva forte, urlava, sbraitava, si arrabbiava, si commuoveva e poi rideva…mentre tiravo, quest’anno, mi sono resa conto che sono 20 anni che anche io sto lì, attaccata a quella fune, con le scarpette che non scivolano e due piedi impuntati al meglio per provare a trascinare la mia squadra, anche se ultimamente ci sono riuscita poco. Però mi sono goduta il momento, un milione di voci intorno, quel tiraaaaa che ti smuove dentro, gli occhioni puntati addosso anche di quell’amico delle elementari che non vedi, forse, proprio dai tempi di uno zaino in spalla e del “vediamo chi arriva ultimo”.

La Rama di Pomm è un ritrovo dove il passato si scontra con il presente, dove alzi gli occhi al cielo e sai di avere (i migliori) spettatori anche lì, dove torni a casa con il profumo di frittella addosso, dove scorri le foto della mostra e ti commuovi, dove la serata delle premiazioni è “faccio la torta e ce la mangiamo insieme”.

Ed ogni anno, a prescindere dal risultato, la chiudi sempre alla stessa modo, concedendoti la più grande delle bugie: “Questa è l’ultima, giuro che è l’ultima”.

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